LA CORTE DI CASSAZIONE
   Ha  pronunciato  la   seguente   ordinanza   sulla   eccezione   di
 costituzionalita'  proposta  dal  procuratore  generale presso questa
 Corte, condivisa  dalla  difesa  dell'indagato,  in  ordine  all'art.
 12-quinquies  del  d.l.  n.  306/1992,  convertito con modificazioni
 dalla legge n. 356/1992, come modificato dall'art.  5  del  d.l.  21
 gennaio  1993,  n. 14, sui ricorsi riuniti proposti da Pastore Cosimo
 avverso le ordinanze in data 11 e 20 novembre 1992 del  tribunale  di
 Taranto,  sez.  riesame,  che  hanno  confermato  rispettivamente  il
 decreto di sequestro probatorio dei documenti  bancari  descritti  in
 atti  per  un  valore  di oltre un miliardo emesso dal p.m. presso il
 tribunale di Taranto in data 23 ottobre 1992 a fronte  del  reato  di
 usura e il decreto di sequestro prventivo del g.i.p. presso lo stesso
 tribunale  concernente  gli  stessi  beni con riferimento al reato di
 ingiustificato possesso  di  valori  di  cui  all'art.  12-quinquies,
 seconco comma, cit.;
                               F A T T O
    Contro  le  infrascritte  ordinanze  confermative  dei  decreti di
 sequestro probatorio e preventivo sui beni meglio descritti in  atti,
 emessi  rispettivamente  dal p.m. e dal g.i.p. presso il tribunale di
 Taranto in sede di indagini nei confronti del Pastore per i reati  di
 usura  e  di  possesso  ingiustirficato  di  valori, costui proponeva
 distinti ricorsi contestando  in  particolare,  a  prescindere  dalle
 questioni  non rilevanti in questa sede, con riferimento al sequestro
 probatorio disposto dal p.m. (confermato tempestivamente in  sede  di
 riesame,  essendo  il decimo giorno festivo), che i beni sequestrati,
 quali dossiers, certificati  di  deposito  e  quant'altro,  potessero
 considerarsi  corpo  del  reato, come ritenuto dal tribunale, essendo
 esclusa "l'esistenza di un rapporto di immediatezza  tra  la  cosa  e
 l'illecito   penale   ..",  dovendo  i  lauti,  documentati  guadagni
 ascriversi alla sua attivita' agraria.
    D'altra parte, con riferimento al  sequestro  preventivo  rilevava
 che   a  suo  carico  non  "pendeva  alcun  procedimento  penale",  o
 imputazione,  secondo  quanto  espresso  dall'art.  5  del  d.l.  20
 novembre  1992,  n.  450  (oggi  reiterato dal d.l. n. 14/1993), che
 aveva interpolato, prima del deposito  dell'ordinanza  impugnata  (23
 novembre  1992),  l'art.  12-quinquies, secondo comma, della legge n.
 356/1992.
                             D I R I T T O
    Sul presupposto dell'ammissibilita' del sequestro preventivo (art.
 321,  secondo  comma,   del   c.p.p.)   disposto   su   talini   beni
 (documentazione  bancaria relativa a una disponibilitga' di fondi per
 oltre un miliardo di lire) del Pastore, indagato  del  reato  di  cui
 all'art.   12-quinquies   del   d.l.  n.  306/1992,  convertito  con
 modificazioni dalla legge n. 356/1992, come  modificato  dall'art.  5
 del  d.l.  21  gennaio  1993, n. 14, nonche' del reato di usura, che
 aveva  giustificato  il  sequestro  probatorio  sugli  stessi   beni,
 legittimando  pertanto  la  disposta  riunione  dei  procedimenti, il
 procuratore generale  ha  sollevato  eccezione  di  costituzionalita'
 della norma richiamata.
    Essa  prevede  la  confisca  dei  beni di colore nei cui confronti
 penda procedimento penale per particolari reati, fra cui  l'usura,  e
 non giustifichino la legittima provenienza del patrimonio che risulti
 di  valore sproporzionato al reddito dichiarato ai fini delle imposte
 sul reddito o all'attivita' economica.
    La norma urterebbe ad avviso  del  p.g.  contro  il  principio  di
 ragionevolezza    sotteso    all'art.   3   della   Costituzione   in
 considerazione della qualita' transitoria e neutra  dello  status  di
 indagato o di soggetto "nei cui confronti pende procedimento penale";
 contrasterebbe  inoltre  con  il  principio  costituzionale  posto  a
 garanzia del diritto di  proprieita'  dall'art.  42,  secondo  comma;
 introdurrebbe  infine,  violando  i  principi della Carta di cui agli
 articoli  24,  secondo  comma,  e  27,  secondo  comma,  l'inversione
 dell'onere  della  prova  che  verrebbe   trasferito   dal   titolare
 dell'accusa,  e  dal  giudice  che  la  deve avvalorare, a colui che,
 avendo assunto la qualita' di indagato/sottoposto a  procedimento  (e
 non  di  condannato) per altro reato, viene onerato della prova della
 non colpevolezza.
    Cosi' riassunti i termini dell'eccezione, cui  s'e'  associata  la
 difesa dell'indagato, ritiene la Corte rilevanti e non manifestamente
 infondate  le questioni sollevate, che in una certa misura richiamano
 la questione anche di recente trattata dalla Corte  costituzionale  a
 proposito  dell'art.  708  del  c.p. (sentenza n. 464 del 19 novembre
 1992, in Gazzetta Ufficiale 25 novembre 1992, n. 49).
    Cio' posto ritiene anzitutto  questa  Corte  che  la  sostituzione
 delle  parole  originarie "sono svolte indagini" con le parole "pende
 procedimento penale" offerta dall'art. 5 del  d.l.  cit.  non  abbia
 immutato  nella  sostanza, al di la' dell'intenzione del legislatore,
 lo status del soggetto  attivo  mediante  una  maggiore  precisazione
 della  caratterizzazione processuale dell'autore del reato, in quanto
 l'attuale formula non consente di  identificare  questo  soggetto  in
 colui  che  assume  la  qualita' di imputato, in considerazione della
 specificita' giuridica di questo nomen iuris: articoli 60 e  405  del
 c.p.p.
    Ne'   puo'   contribuire   a   sciogliere  il  dilemma  l'impianto
 codicistico che distingue i  procedimenti  dal  giudizio,  posto  che
 anche  le  indagini preliminari realizzano un procedimento (art. 328,
 comma 1-bis, del c.p.p.).
    Cio' premesso la questione e' comunque rilevante in quanto  questa
 Corte  deve  valutare  la  legittimita'  dei  provvedimenti cautelari
 emessi in funzione di indagini e nel corso  di  procedimenti  penali,
 sia  pure  in  senso  lato,  che  concernono  il  reato di usura e di
 possesso ingiustificativo di valori  (che  dal  primo  trae  alimento
 secondo il precetto in esame).
    Dall'altra   parte   l'eccezione   d'incostituzionalita'   non  e'
 manifestamente infondata.
    Merita ricordare che di tanto ne erano ben consapevoli i  Ministri
 pro-tempore  dell'interno  e  di grazia e giustizia, che pure avevano
 introdotto il reato come emendamento in fase di legge di conversione:
 Senato della Repubblica, Assemblea  -  resoconto  stenografico  della
 seduta  pomeridiana  23  luglio  1992:  "Certo  in  quest'ultimo caso
 dobbiamo convenire  che  si  realizza  un  ribaltamento  di  uno  dei
 principi  generali  in materia di prove, dal momento che e' lo stesso
 soggetto a dovere dimostrare la provenienza e la natura lecita  delle
 sue  sostanze  per  non  incorrere in sanzioni penali" (Mancino); "So
 bene che si agisce qui su un  terreno  difficile  e  delicato  per  i
 poteri  conferiti  alle pubbliche autorita' di incidere sui diritti e
 sui beni  della  persona,  prima  ancora  che  rigorosi  accertamenti
 probatori si siano compiuti in sede giudiziaria; .." (Martelli).
    Il  reato  di  cui all'art. 12-quinquies si materializza dunque in
 capo ai soggetti nei cui confronti  pende  procedimento  penale  (era
 indagato)   per   taluni   particolari  delitti  (o  si  procede  per
 l'applicazione di una misura di sicurezza personale).
    Potendo  essere  commesso  esclusivamente  da  chi   riveste   una
 particolare qualita' o status, esso consiste in un "reato proprio".
    Peraltro,  pur  essendo,  la  qualita'  specifica  necessariamente
 destinata ad  evolversi  nel  procedimento  la  norma  incriminatrice
 prescinde  totalmente  dall'instabilita'  processuale  in itinere che
 caratterizza   l'elemento   soggettivo   del   reato,    confliggendo
 apertamente  con il principio di ragionevolezza e logicita' garantito
 dall'art. 3 della Costituzione a fronte dei diversi esiti processuali
 (assoluzione/condanna) del reato sorgente.
    Il che evidenzia una situazione soggettiva in capo al reo priva di
 connotazioni degne  di  rilevanza  penale  (a  differenza  di  quanto
 succede  con  l'art. 708 del c.p.), che tuttavia assurgono a elemento
 costitutivo  della  fattispecie  criminosa,  discriminando   pertanto
 questi  da  colui  che, seppure titolare di ricchezze sproporzionate,
 non incappa in un procedimento penale.
    D'altra parte, proprio perche' la norma non esige la condanna  per
 i  reati presupposti, che sottenderebbero delittuosi trasferimenti di
 ricchezze, ma unicamente la sottoposizione a  siffatti  procedimenti,
 la mancata giustificazione della legittima accumulazione patrimoniale
 comporta  che  la  condanna per il reato di cui all'art. 12-quinquies
 derivi non gia' dall'impulso dell'ufficio nella ricerca delle  prove,
 bensi'  da  un  comportamento  che  la Costituzione garantisce a ogni
 imputato, attraverso il riconoscimento del diritto  di  difesa  (art.
 24, secondo comma) e della presunzione di non colplevolezza (art. 27,
 secondo comma).
    Infatti  essendo punito se non giustifica la legittima provenienza
 dei  beni,  il  prevenuto  e'  obbligato,  a  fronte  della  ritenuta
 sproporzione  dei  beni,  ad  attivarsi  per  dimostrare  la  propria
 innocenza, contraddicendo il legittimo suo diritto di non  rispondere
 e  di  non  collaborare,  dovendo  l'accusa  essere suffragata da chi
 l'allega.
   Quanto infine  al  sospetto  di  non  conformita'  della  norma  al
 principio  costituzionale  che tutela la proprieta' e' appena il caso
 di osservare, aderendo anche per questa parte alle tesi del p.g., che
 la materialita' del fatto criminoso consiste nella  sproporzione  fra
 le  disponibilita'  economiche del sottoposto a procedimento penale e
 il reddito dichiarato ai  fini  fiscali  o  all'attivita'  economica,
 prescindendo   assolutamente   dai   filtri   di  accertamento  della
 concentrazione criminale della ricchezza  costituiti  ad  esempio  da
 indizi  (v.  art.  2-ter,  secondo comma, della legge n. 575/1965) o,
 comunque, dall'attivo intervento e riscontro giudiziario (v.  infatti
 la legge n. 646/1982).
    In  altre  parole  nel caso in esame il reato si configura in base
 alla ritenuta sproporzione (che e' oltretutto dato non obiettivo,  ma
 elastico  e  quindi  ulteriore fonte di ingiustificate ineguaglianze)
 fra reddito e  patrimonio,  prescindendo  da  qualsiasi  collegamento
 immediato con un'attivita' delinquenziale giudiziariamente accertata.
    Il che contrasta con i principi dettati a tutela della proprieta',
 i  cui limiti non hanno alcun riferimento alle sue dimensioni quanti-
 tative.